Dopo la svolta impressa da Ubisoft alla sua saga di punta nel 2017, quando Origins si fece latore di un cambiamento epocale, che trasformò degli action adventure in vasti giochi di ruolo d’azione a mondo aperto, la saga di Assassin’s Creed non è stata più la stessa, nel bene e nel male.
Se molti apprezzarono la maggiore libertà di approccio e di esplorazione e l’ampliamento dell’equipaggiamento che i nuovi titoli portarono in dote, altri rimpiansero il gameplay prevalentemente stealth e le missioni asciutte e concentrate dei titoli originali, sostenendo che nel passaggio alla formula RPG qualcosa fosse andato irrimediabilmente perso.
A questa tipologia di pubblico deve aver pensato il colosso francese quando ha iniziato i lavori per il qui presente Assassin’s Creed Mirage, che riporta l’orologio del franchise indietro di quasi otto anni. In tutto e per tutto.
Assassin’s Creed Mirage mette il giocatore nei panni di Basim Ibn Ishaq, un volto già noto a quanti avessero giocato Valhalla, ambientato vent’anni dopo le vicende narrate in questo episodio. Volendo evitare spoiler a quanti non avessero vissuto la lunga epopea di Eivor in prima persona, ci limiteremo a dire che Mirage funge da classica storia di origine per un personaggio che i giocatori hanno già conosciuto nel pieno della sua maturità, quando già rivestiva un ruolo prominente all’interno dell’organizzazione degli Occulti, precursori degli Assassini.
L’incipit di Mirage, invece, lo vede giovane e scapestrato, sbruffone dal cuore tenero, a barcamenarsi tra furtarelli, raggiri e lavoretti di giornata tra i vicoli polverosi di un sobborgo di Baghdad, nel IX secolo: invaghitosi della nomea di rivoluzionari e dell’aura di mistero che circonda gli Occulti, decide di sfruttare la prima occasione che gli si presenta per farsi notare da questi ultimi.
Purtroppo per lui, e nonostante i consigli contrari della sua compagna d’infanzia, la sua decisione si rivela a dir poco avventata, e porta a conseguenze terribili per tutte le persone che gravitano attorno a Basim, l’unico che riesce a fuggire lasciandosi dietro morte e distruzione.
Evitando le diluizioni degli episodi recenti, per la sua natura più contenuta, Mirage riesce a raccontare molto meglio.
Spogliato dei suoi pochi averi, degli unici amici che gli rimanevano e di un tetto sopra la testa, il nostro si arruola nella confraternita degli Occulti, sotto la tutela della sua ombrosa mentore Roshan, per mettere fine al dominio di una misteriosa setta che influenza tantissimi ambiti della vita encomica, sociale e religiosa del califfato abbaside, uno dei regni più lunghi e prosperosi della millenaria storia del Medio Oriente.
Nonostante la storia rappresenti, sotto multi punti di vista, una versione riveduta e corretta di quella che Ubisoft ha già narrato molte volte durante i quindici anni di vita del franchise Assassin’s Creed, il fascino dell’ambientazione, delle motivazioni dei personaggi, del culto degli Occulti sono innegabili, e rimangono costanti per tutta la durata della campagna, con qualche frangente di stanca nella fase centrale, dopo un incipit scoppiettante ed un discreto finale.
Ad aiutare la narrazione ci sono anche tempistiche narrative assai più concentrate rispetto agli ultimi episodi del franchise, dove il plot veniva diluito su decine e decine di ore e finiva per annacquarsi, ed uno stile più diretto e conciso, senza troppi fronzoli e senza divagazioni eccessive.
La durata stessa della campagna, completabile in una ventina di ore circa, al netto della discreta quantità di contenuti opzionali, favorisce la focalizzazione del giocatore su storia e personaggi assai più delle gargantuesche uscite precedenti, ed il risultato è che, nonostante la generale mancanza di originalità, le avventure di Basim riescono a catturare l’interesse del giocatore.
Non che in questo tutto sia perfetto, beninteso: manca un antagonista capace di attirare l’attenzione, e molti dei bersagli del nostro assassino si riveleranno cattivi per il puro gusto di esserlo, fin quasi al macchiettismo, ma la scrittura generale è apprezzabile e la grande attenzione riposta nei dettagli, dalla lingua parlata dagli NPC per strada ai riferimenti alla storia reale della regione, aiutano a calarsi nelle vicende, controbilanciando la sensazione di già visto causata dal comparto tecnico, su cui torneremo in seguito.
Controller alla mano, vestire i panni dell’iniziato degli Occulti si rivela un vero e proprio tuffo nel passato, con il parkour e la necessità di colpire dall’ombra che assurgono nuovamente al ruolo di protagonisti nell’economia del gameplay.
Nonostante la conclamata intenzione di tornare a meccaniche stealth, che pure si riprendono la scena dopo gli anni di Origins, Odyssey e Valhalla, il ventaglio di soluzioni a disposizione di Basim si fa incredibilmente vasto già a poche ore dai titoli di testa, rendendolo un vero e proprio cannone di vetro, incapace di resistere a troppi colpi ma assolutamente letale nell’uno contro uno e non solo.
Gli assassinii multipli, possibili quasi da subito ed ampliabili a dismisura prima della fine dell’avventura, permettono al nostro di sfruttare un’apparente glitch del sistema per far fuori da uno a cinque o sei bersagli in un battito di ciglia, semplicemente marcandoli mentre non siamo nel loro campo visivo.
Com’è facilmente immaginabile, questa feature, da sola, sbilancia completamente il livello di difficoltà, che già di suo non si sarebbe segnalato per il raggiungimento di chissà quali picchi.
Il gameplay torna alle origini, ma senza fare tesoro dell’esperienza accumulata con la recente trilogia e riproponendo gli stessi difetti irrisolti dell’epoca Syndicate.
Nondimeno, queste catene di morte si rivelano estremamente soddisfacenti tanto da utilizzare quanto da vedere in azione, e rappresentano una delle poche novità introdotte da questo capitolo, le cui meccaniche, per il resto, si accontentano di riproporre quanto già visto fino a Syndicate.
Arnesi dimenticati, come le bombe fumogene, i dardi soporiferi, i coltelli da lancio, si ritagliano nuovamente una nicchia di importanza non indifferente, e soluzioni di gameplay abbandonate ritornano in auge, come la possibilità di confondersi tra la folla per passare inosservati, assoldare mercenari per fare il lavoro sporco al posto nostro o musicanti per distrarre le guardie durante le loro ronde.
Al contrario, elementi fondanti degli ultimi episodi sono stati messi da parte, o comunque fortemente depotenziati: gli alberi delle abilità sono solo tre, e molto meno fantasiosi rispetto al passato, in assenza di un vero e proprio ciclo giorno/notte, con il tempo che scorre a ritmo marcato maggiormente.