Incidente di Goiania

Incidente di Goiania, quando il Brasile scoprì i pericoli della radioattività

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Goiania, città brasiliana capitale dello stato del Goias, non si sarebbe mai aspettata di entrare nei libri di storia per una vicenda fatta di criminalità, ignoranza e povertà come quella che accadde il 13 settembre 1987. Quel giorno 250 abitanti furono vittime, in maniera del tutto inconsapevole, di una contaminazione da Cesio 137. Tale contaminazione provocò la morte di 4 persone e venne classificata al quinto livello della scala internazionale degli eventi nucleari e radiologici. Tutta colpa di un macchinario per la radioterapia dimenticato in un ospedale abbandonato e rubato nella speranza di farci qualche soldo. La mobilitazione popolare successiva, sulla spinta della tragedia di Cernobyl, portò ad una psicosi che coinvolse, loro malgrado, le vittime.

INCIDENTE DI GOIANIA, LA STORIA

L’apparecchio protagonista dell’incidente di Goiania veniva utilizzato dall’Istituto Goiano di Radioterapia. L’ospedale venne trasferito nel 1985 mentre all’interno del vecchio stabile venne abbandonata un’unità di teleterapia acquistata nel 1977. Lo strumento divenne oggetto di una disputa tra l’ospedale e la società proprietaria dei muri al punto da spingere la Corte di Giustizia dello Stato del Goias a richiedere l’intervento di una guardia che impedisse i tentativi di rimozione degli oggetti abbandonati, tra cui l’unità di teleterapia. Nel frattempo, e questo accadde pochi mesi prima dell’incidente di Goiania, i rappresentanti dell’IGR scrissero alla Commissione Nazionale per l’Energia Nucleare mettendoli in guardia del pericolo in corso.

INCIDENTE DI GOIANIA, IL PERICOLO CESIO 137

Un pericolo. Si. Perché l’unità di teleterapia veniva definita dai membri dell’ospedale una “bomba di cesio”. Al suo interno era presente un nucleo di Cesio 137, un isotopo radioattivo sottoprodotto della fissione dell’uranio. Responsabile dell’emissione di raggi Gamma, è estremamente reattivo a livello chimico e molto solubile nell’acqua. Essendo un prodotto frutto della fissione nucleare, il Cesio 137 non esiste in natura ed i suoi effetti sono facilmente individuabili sia nell’ambiente sia sul corpo umano.

I PRIMI EFFETTI

Fu facile quindi capire cosa scatenò l’incidente di Goiana. Il 13 settembre 1987 la guardia responsabile del controllo dei macchinari abbandonati prese un giorno di ferie. Per gli spazzini Roberto Alves dos Santos Mota e Wagner Pereira l’occasione fu unica ed irripetibile. Caricarono l’apparecchiatura su una carriola e la portarono a casa del primo al fine di smontarla per rivenderla come rottami. I due sperimentarono i primi sintomi da contaminazione la sera stessa ma pensarono più ad una forma di malessere momentaneo. Il giorno dopo Pereira avvertì nausea e diarrea, una mano si gonfiò al punto da costringerlo all’amputazione dell’intero braccio dopo un solo mese dal furto.

 

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I CHICCHI LETALI DI CESIO 137

Santos Mota rimase da solo a smontare la macchina finché non riuscì a liberare la capsula di Cesio 137. Con un cacciavite provò a scavare nella sostanza che emetteva una forte luce blu, una fluorescenza dovuta all’effetto Čerenkov. Il 18 settembre vendette l’apparecchio ad un uomo titolare di un cantiere per demolizioni. Devair Alves Ferreira. Questi, accortosi del bagliore blu proveniente dalla macchina, la portò in casa con la speranza di poter recuperare il materiale per trasformarla in un anello da regalare alla moglie Maria Gabriela. Il 21 settembre alcuni grani di Cesio 137 grandi come chicchi di riso vennero distribuiti ad amici e familiari del titolare stesso. La moglie, però, iniziò ad ammalarsi proprio quel giorno.

I FATTI INIZIANO A DIVENTARE CHIARI

L’incidente di Goiania era entrato nel vivo. Il 25 settembre Alves Ferreira vendette il rottame ad un altro sfasciacarrozze. Il giorno prima il fratello di Devair Ferreira, Ivo, raschiò parte della sostanza dal macchinario. La polvere cadde accidentalmente sul pavimento e venne raccolta dalla figlia di quest’ultimo, Leide das Neves Ferreira, sei anni, che se l’applicò sul corpo e forse la ingerì. La prima a rendersi conto che qualcosa non andava nel verso giusto fu Maria Gabriela. La donna il 28 settembre andò con un dipendente del marito dallo sfasciacarrozze in possesso del macchinario. Presero i resti, li chiusero in un sacchetto di plastica e li portarono all’ospedale. La donna all’inizio pensò ad un avvelenamento alimentare che aveva colpito molti dei suoi affetti ma dopo aver escluso la cosa rivolse le sue attenzioni alla famosa polverina blu. Il giorno dopo venne rilevata la sorgente radioattiva.

L’INTERVENTO PUBBLICO, LE REAZIONI, LA MORTE DI QUATTRO PERSONE

Le autorità vennero subito a conoscenza della cosa e si impegnarono immediatamente. Gli appelli furono tali da spingere 130.000 persone negli ospedali cittadini per farsi controllare. Vennero trovati residui radioattivi sulla pelle di 250 individui mentre gli avvelenati furono 20. L’incidente di Goiania causò quattro morti: la piccola Leide das Neves Ferreira spirò il 23 ottobre a Rio de Janeiro in completo isolamento e venne sepolta in una bara rinforzata con 700 chili di piombo e fibra di vetro. La sua sepoltura inizialmente venne impedita dai residenti vicini al cimitero di Goiania per paura di essere contaminati. Nello stesso giorno morì anche Maria Gabriela Ferreira, la donna che si accorse della contaminazione in corso. Il 27 ottobre morì un dipendente di Devair Ferreira, Israel Baptista dos Santos, otto giorni dopo Admilson Alves de Souza.

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